Pedrabranca. (Ceará) Brasil

giovedì 30 settembre 2010

Reincarnazione.

Divertente il giochino in cui scopri chi eri in una vita precedente..
Personalmente mi piace credere che io sia vissuto altre volte
Perché nessuno, tra i fautori di questa teoria, mai parla delle loro vita futura? Praticamente come esiste il passato, esiste anche il futuro. O no?
Comunque sia, tutti coloro coinvolti in questa teoria, sempre sono convinti di essere reincarnazione di personaggi famosi...
Mai nessuno che mi racconti di essere stato un povero sfigato, magari poi morto di peste bubbonica. Commovente.
Detto questo, un giorno in particolari condizioni di spirito e di mente , mi rilassai cercando di andare a vedere quale era stata, una delle vite precedenti.
La prima "visione" che ebbi si riferiva al medio evo. Logico, e chi va a controllare la storia nei secoli bui?
Ebbene, la sfiga giá allora ci vedeva bene, ed io ero il figlio di un povero cristo.
Facevamo parte di una proprietá del signore del luogo, ( Toscana, non so perchè).
Il "signore" perse una delle tante guerre in cui si dilettava, e furono, fummo, fucemmo...bha..venduti ad un "Signore"  della Baviera di allora. (Adesso capisco perché mi piace la birra.)
Insomma, facevamo parte della attrezzatura...Altro che Marchionne..
Ebbene qui i ricordi si accavallano. Mica facile. Una vita si incrocia con l'altra, magari con un salto di qualche secolo...
Comunque adesso mi concentro nel periodo 1320-1336.
Dunque. Ero figlio di Aginulfo il fabbro.  Embé? I nomi erano quelli. Io invece mi chiamavo....cavolo, con tante reincarnazione non ricordo il nome....mi pare che fosse..Deodato  No quello era di quando ero un fraticello.
Va ben, il nome non é importante, mi verrá in mente dopo.
Fatto sta che vivevamo in un villaggio, tra le montagne, ai piedi di un castello che torreggiava lassú. Sotto tale castello scorreva un fiume  con acque gelide, e chiare, e ottime da bere etc.
L'inquinamento dei fiumi era solo agli inizi.
Tale fiume alimentava mulini, fabbriche varie, ed anche la officina del mi' babbo Aginulfo. Io aiutavo nella officina, in quanto lá, egli  costruiva oltre ad attrezzi per la agricoltura, vari tipi di armi.
Alabarde, draghignasse, coltellacci, ascie bipenni, pugnali, ed anche spade, spadoni, misericordie,  e quant'altro.
Tutto sotto ordinazione del "Signore" (Che tra l'altro, ovvio, era un gran figghio di buona donna)
E va ben. Pe finí de riccontavve ,(Tipica espressione romanesca), il villaggio comprendeva anche un piccolo monastero in cui vivevano una dozzine di monaci. Tipo "Marcellino pane e vino", solo che erano Bendettini.
Andavo tutti i giorni da loro per imparare a leggere, scrivere e far di conto, come Pinocchio, e devo dire che mi piaceva. Tra l' altro Padre  Quintilio, l'organista e musicista mi prese a benvolere, e decise di insegnarmi la musica. Chi pensa ad un qualche cosa come pedofilia, o cose del genere, si vergogni!! In parole povere uscii intatto da quelle lezioni.
Mi ragaló un tiorba, la nonna della chitarra, credo, ed imparai a suonare ed a comporre canzoni in cui anche allora, cuore faceva rima con amore.
Ero pieno di fantasia, e forse un pó all'avanguardia, comunque un bel giorno fui chiamato al castello per allietare una cena con parecchi invitati, in cui si festeggiava il compleanno della figlia. 15 anni! 
 E tra gli invitati quasi tutti erano potenziali mariti della suddetta.  Alleanze politico-economiche, sapete come è no?
Candida, si chiamava, e lascio a voi immaginare la bellezza, la grazia, la finezza che permeava tutta la sua persona. Non sto qui a perdere tempo a descriverla. Fate voi,
E, naturalmente ci innammorammo al primo sguardo. Classico.
E qui cominciarono le complicazioni. Come mettermi in contatto con lei? Come e dove incontrarla? In fondo io ero solo il figlio di Aginulfo il fabbro, e non avevo nessun diritto in quel campo. Ero di una classe moooolto inferiore.
Ma qui subentró come in tutte le favole la "nutrice", ovvero la Baby-sitter. Ella, Sofronia, questo il noma della nutrice, diventó il trait-d'union,  tra Candida e me. Per mezzo di messaggi  di tutti i tipi. La creativitá delle donne in questi casi è inesauribile. Ci faceva incontrare casualmente in chiesa, o lungo la strada che saliva al castello. E cosí tra Candida e Stercuzio, (Questo era il mio nome, mi è tornato in mente stanotte....) crebbe una passione travolgente. ( Ma  te guarda che nomi del cavolo imponevano a quei tempi.)
Finalmente,  un bel giorno in cui per una ennesima festa ero ad allietare i commensali con le mie romanze, Sofronia trovó il modo, dato che tutti erano ubriachi, a farmi salire fino alla stanza della mia amata, tremebondo ed emozionato.
Rimanemmo in silenzio a guardarci negli occhi ed io non sapevo da che parte cominciare. Nessuno mi aveva insegnato nulla in proposito. Mi sentivo goffo, con le gambe molli. Ma dentro di me scoppiava la tempesta. I nostri volti si incontrarono, per baciarci, suppongo, ma i nasi erano di impiccio.
Comunque sia a poco a poco la natura e l'istinto ci diedero una mano ....
Certo,  non arrivammo a quello che possiate pensare, ma eravamo sulla buona strada.
Improvvisamente, udimmo un tramestio fuori della stanza, ed udimmo anche la voce del padre della mia amata, arrochita dal vino.  Nascondermi, e subito. Uscii dalla finestra che dava a strapiombo sul fiume....per fortuna c' era un cornicione e mi allontanai dando il dorso alla parete.  Il vento aveva portato su quella piccola superficie, della polvere  su cui era cresciuta una pianta di rose. Striminzita e sottile, ma era lí.
Sentivo il "signore" inveire contro la figlia. Qualcuno aveva fatto la spia.  E quando si affacció alla finestra a bifora, cercó di prendermi per un braccio.  Provai ad  allontanarmi reggendomi alla pianta di rosa. Che idea stupida. A farla breve precipitai lungo il dirupo, sempre stringendo la pianta, nella mano....
E addio Stercuzio.
L' ultima visione che ebbe Candida di me, era un corpo disteso nell'acqua bassa del fiume, un sottile filo rosso che si allungava sempre piú con la corrente, e con una mano ancora stretta ad una rosa.






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